“LA MIA VITA DA ZUCCHINA”: LA RECENSIONE

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Dopo la morte della mamma (ubriacona) per incidente domestico, Icaro, che preferisce farsi chiamare Zucchina e che ha appena 9 anni, viene portato dal poliziotto Raymond in un istituto per ragazzi problematici. Lì, con i suoi nuovi amici, tra cui il bullo Simon e l’affascinante Camille, arrivata qualche mese dopo di lui, imparerà a vedere il mondo con occhi nuovi. Meno tristi.

Vi infastidisce il confettato, survoltato (e omologato) mondo dei cartoons (computerizzati o meno), pilotato e dominato da Disney, Pixar e compagnia varia di major USA? Allora Ma vie de Courgette può indicarvi una via diversa dell’animazione. Più poetica, intelligente, originale. Del resto è francese (con peraltro robusta compartecipazione svizzera), nazione che vanta una solida tradizione di produzione letterario-artistico-cinematografica dal punto di vista dei piccoli ma destinata (anche se non soprattutto) agli adulti: da Pel di Carota a La guerra dei Bottoni, per arrivare ai film di Truffaut (specie Gli anni in tasca) o Le avventure di Nicolino di Goscinny e Sempé. Da un romanzo di Gilles Paris (Autobiografia di una Zucchina, 2002 esito in Italia da Piemme, tra l’altro già diventato film per la tv nel 2008), sceneggiato da quella che è indubbiamente una delle autrici più attrezzate a trattare i temi del rapporto tra mondo dell’infanzia ed età adulta, ovvero Céline Sciamma (Tomboy, Diamante nero, Quando hai 17 anni), il debutto nel lungometraggio di Claude Barras è di quelli che non lasciano né indifferenti né insensibili. Come un film con attori in carne ed ossa, ma interpretato da pupazzi pallidi e dagli occhioni globosi e cerchiati (si muovono con la tecnica dell’animazione a passo uno, come il recente e pregevole Kubo e la spada magica), La mia vita da Zucchina ci ricorda soprattutto due cose, nella sua indistruttibile delicatezza e simpatia: della capacità di resistenza e superamento di ogni trauma da parte dei bambini nonché del loro incredibile talento a spiegare il mondo a immagine e somiglianza delle proprie conoscenze.

Un’ora di poesia e tenerezza, che ha fatto incetta di premi ai Festival (tra cui Annecy e San Sebastian) e con cui non è indecoroso commuoversi e ricorrere ai fazzoletti. Perché, come dice Zucchina: “A volte si piange di gioia quando si è felici”.

Massimo Lastrucci