“MOONLIGHT”: LA RECENSIONE DEL FILM CHE POTREBBE STUPIRE AGLI OSCAR

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Id. Usa, 2016 Regia Barry Jenkins Interpreti Trevante Rhodes, Ashton Sanders, Alex R. Hibbert, Mahershala Ali, Janelle Monáe, Naomie Harris Distribuzione Lucky Red Durata 1h e 51’

Al cinema dal 16 febbraio 2017

IL FATTO – In un degradato quartiere-ghetto di Miami, cresce il piccolo Chiron, con una madre tossica e quasi adottato da uno spacciatore e dalla sua compagna. Timido e chiuso in se stesso (è dura strappargli una parola), subirà per anni il bullismo dei coetanei, in cerca di una propria difficile strada (la troverà là dove la violenza dell’ambiente lo costringerà a percorrerla), sempre più consapevole della sua diversità sessuale.

L’OPINIONE – “Cosa è un frocio?” chiede Chiron all’amico spacciatore Juan (un intenso Mahershala Ali): “Una parola perché i gay si sentano male” gli risponde (incredibilmente comprensivo vero?). Diviso in tre capitoli-atti: Piccoletto (l’infanzia), Chiron (l’adolescenza, non per caso con il suo nome vero), Black (l’età adulta), l’apprendistato alla vita di un omosessuale afro-americano, da una pièce di Tarell Alvin McCraney. Moonlight non brilla forse per quel che dice (palesa in effetti un certo schematismo dato probabilmente dall’origine teatrale) ma lo dice benissimo, in modi delicati e strategicamente sempre più rivelatori, attenti al contesto sociologico: del resto il regista è proprio di Miami e qui c’è più di una suggestione autobiografica.

Barry Jenkis, al suo secondo lungometraggio dopo Medicine for Melancholy (2008), filma con programmata cautela, immettendo, mentre svela il carattere in formazione di Chiron, rinvigorenti dosi di lirismo. Del resto già la scelta del titolo (proviene da una frase/confessione dello spacciatore al piccolo protagonista: “alla luce della luna tutto è blu” – e il regista se lo ricorderà anche alla fine) suggerisce una vocazione alla coloritura poetica; la scelta raffinata delle musiche, da parte di Nicholas Britell, l’arricchisce (esempio: i ragazzini giocano a calcio con una palla di stracci, accompagnati da uno spiritual orchestrale), così come i virtuosismi dello stesso Jenkins (vedi come la macchina da presa segua a mano il bullo della classe a praticamente compiere un cerchio completo nel cortile della scuola prima di fermarsi su Kevin, per obbligarlo a pestare il suo amico Chiron).

Alla luce dello stato attuale delle cose, con la megaproduzione massificata di Hollywood che tiene soffocata quella indipendente privandola di spazi e visibilità extra festival, la gran messe di premi (tipo British Indipendent Film Award, National Board of Review, Los Angeles Film Critics, New York Film Critics, Golden Globe, 8 nomination agli Oscar, più l’apertura al Festival del Cinema di Roma) suona fatalmente anche tra l’alibi e il risarcimento, ma il film merita davvero, “ortodosso” nei contenuti ma totalmente indipendente nello spirito (con produzione emerita di Brad Pitt). Sul finire citazione d’obbligo almeno per le performances di due attori, lo Chiron adolescente di Ashton Sanders e la madre scombiccherata di Naomie Harris (che è inglese e già notissima per essere Moneypenny nel bondiano Spectre), tra l’altro l’unica a comparire, progressivamente invecchiata, in tutti i tre capitoli.

Massimo Lastrucci

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