“THE ACCOUNTANT”: LA RECENSIONE

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Christian Wolff, genio matematico affetto da sindrome di Aspergen, più a proprio agio con i numeri che con le persone, lavora sotto copertura in un piccolo studio come contabile freelance per alcune delle più pericolose organizzazioni criminali del mondo. Nonostante la divisione anticrimine del Dipartimento del Tesoro gli stia alle costole, Christian accetta l’incarico in una società di robotica dove una delle contabili ha scoperto una discrepanza di milioni di dollari nei conti. Ma non appena l’uomo comincia ad avvicinarsi alla verità, il numero delle vittime comincia a crescere.

Quella che per la scienza è una sindrome affine all’autismo, capace di trascinare chi ne è colpito nel più misterioso isolamento, per il cinema è fonte inesauribile di superpoteri. E così, dopo aver interpretato Batman e Daredevil, Ben Affleck diventa una specie di mutante che dopo una dura infanzia trascorsa ad addestrarsi per difendersi da chi lo maltratta perché “diverso” (“la diversità spaventa le persone” gli dice il padre), affina una serie di talenti che gli consentono di diventare una persona davvero speciale. Dietro quei tristi completi da contabile e l’impenetrabile corazza si nascondono muscoli scolpiti e l’anima di un uomo dalle mille sfaccettature e dal passato doloroso.

Con una recitazione tutta a levare, Affleck, l’attore perfetto in ruoli che non richiedono l’espressione di emozioni forti, è una macchina per uccidere, come Jason Bourne, e il pubblico esulta ad ogni sua performance dagli effetti letali. Costruito come un puzzle, il film di Gavin O’Connor basato sulla sceneggiatura di Bill Dubuque non riesce però a restituire con chiarezza il quadro di insieme. Il plot resta confuso, con molte domande irrisolte per lo spettatore che al termine del film non ha ancora ben compreso chi sia veramente Christian Wolff.