Caro Evan Hansen, Stephen Chbosky commuove la Festa di Roma

L'adattamento del musical di Broadway firmato dal regista di Noi siamo infinito e Wonder.

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Inutile relegarlo a una definizione a scelta tra Young Adult, musical, romanzo di formazione, teen drama, il Caro Evan Hansen di Stephen Chbosky è l’ennesimo film di questo regista statunitense ad andare al di là e a dimostrarsi in grado di fare quel che chiediamo al cinema di fare. Non solo catturarci, ma portarci in un’altra realtà e magari lì raccontarci qualcosa di più della nostra, emozionarci e farci pensare, farci sentire unici e insieme meno soli.

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Tutto questo c’è nell’adattamento di Steven Levenson (Tick, Tick… Boom!) del musical omonimo firmato con Benj Pasek e Justin Paul del 2015. Una storia molto moderna, come sembrano sottolineare i millennial iperattivi su Instagram delle prime sequenze. Uno stereotipo, utile però a definire il contesto adolescenziale e scolastico in cui si sviluppa lo spunto mostrato nella prima scena. Nella quale vediamo l’Evan Hansen del titolo alle prese con il compito assegnatogli dal suo terapista, scrivere una lettera a sé stesso che però viene intercettata dalla persona sbagliata: l’intemperante Connor Murphy (Colton Ryan), fratello della ragazza dei suoi sogni (Kaitlyn Dever) e con una famiglia alle spalle che finisce per legarsi in maniera particolare allo stesso Evan. A partire da una menzogna, consolatoria ma sempre più pesante.

Senza spoilerare, il mondo di Evan, abbandonato dal padre e costantemente escluso dai suoi compagni, cambia radicalmente. Ovviamente in meglio. Ma nella vita di un adolescente – e in natura – le rose non sono eterne. E il film inizia a diventare un catalogo di spine. Di tutte quelle che un giovane solitario e sensibile può conoscere. Ma non solo. Intorno al processo di crescita di Evan Hansen, al suo affrontare paure, responsabilità e dilemmi si raccolgono in tanti. Ragazzi e ragazze con gli stessi problemi, o completamente diversi, tutti uniti dal senso di esclusione, dalla frustrazione di non essere accettati, o capiti, o abbastanza.

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Ed è qui che esplode la forza del racconto. Anticipata dalla potenza della For Forever con cui Ben Platt ipnotizza la famiglia Murphy (Amy Adams e Danny Pino) e gli spettatori. Solo una delle incredibili tracce di una colonna sonora che da sola basterebbe a giustificare la critica di ‘manipolatoria‘ avanzata alla sceneggiatura e alla storia in sé. Ma non si erano lamentati in molti di Pasek & Paul ai tempi di The Greatest Showman, e soprattutto di La La Land.

Non impeccabile, eppure non privo di magnetismo e della capacità di toccare corde universali. Furbescamente, forse, ma in grado di scatenare reazioni sincere. Ognuno di noi – anche chi non avesse potuto godere della versione teatrale della pièce, unanimemente preferibile – potrà facilmente prevedere le svolte principali della vicenda, ma l’esempio di condivisione positiva e il coraggio dei personaggi di Kaitlyn Dever e Amandla Stenberg potrebbero essere un aiuto raro e utile per molti a non dimenticare alcune semplici lezioni, o a crederci per la prima volta.

RASSEGNA PANORAMICA
VOTO
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