Io Capitano, la recensione del viaggio della speranza di Matteo Garrone

In concorso alla Mostra di Venezia 80 un film drammaticamente reale

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Io capitano agli EFA 2023

Sicuramente uno dei più accreditati alla vittoria finale del Leone d’Oro tra i sei film italiani – con Comandante, Enea, Finalmente l’alba, Lubo e Adagio – in concorso alla 80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, probabilmente il Io Capitano (qui il trailer) di Matteo Garrone non porterà a casa l’ambito premio. Eppure la vicenda raccontata e il taglio scelto per farlo, ne fanno uno dei capitoli della filmografia  del regista più sentiti e con maggior forza di comunicazione con il pubblico. Almeno si spera, vista la storia tanto attuale e drammatica che racconta.

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IL FATTO:

Dal loro villaggio in Senegal, dove vivono con le rispettive famiglie passando la giornata tra amici e scuola, Seydou e Moussa pianificano da sei mesi il viaggio che dovrebbe portarli da Dakar all’ambita Europa. Ma quello che attende i due giovani è molto più che un tragitto avventuroso, è l’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare che tanti, troppi ragazzi,  uomini, donne, bambini compiono ogni giorno. Restando vittime di un sogno.

Io capitano

L’OPINIONE:

Come racconta lo stesso filmmaker romano, per realizzare Io capitano si è “partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno” e la scelta di riprendere quella realtà dal punto di osservazione di “di solito” non ha voce è evidente, e importante per l’onestà intellettuale e progettuale che sottende.

Un tentativo di offrire “una sorta di controcampo, rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale“, che forse le sequenze montate per il grande schermo aiuteranno a rendere evidente anche a chi ha qualche difficoltà a considerare “angolazioni” differenti.

Eppure, insieme, una scelta di limitare la propria autorialità, qui al servizio del messaggio e liberata dal bisogno di emergere, anche se un tocco personale è riconoscibile nelle parti più oniriche, forse non del tutto necessarie, ma che senza dubbio resteranno impresse ai tanti appassionati di Garrone.

Che nel suo nono film arricchisce una cinematografia da sempre capace di raccontare il lato oscuro della nostra civiltà con una Odissea a tappe, che narrativamente rischia di condizionare la forma scelta, a tratti meccanica. E nella quale i momenti migliori sono probabilmente quelli dominati dalle figure della madre di Seydou – sinceramente toccante e capace di emozionare con pochi gesti (e inquadrature mute) – e del suo mentore muratore.

Momenti nei quali non a caso l’azione si ferma e permette di sviluppare maggiormente il rapporto tra i personaggi. Non tutti ugualmente caratterizzati ed espressivi. Esemplare, in tal senso, lo sfruttamento del compagno di viaggio Moussa, che avrebbe forse consentito diverse e maggiori possibilità drammatiche, che in conclusione il film sconta. Scelte legittime e non criticabili, che rendono il film inattaccabile ideologicamente (si spera), ma non artisticamente.

 

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Il tema dell’emigrazione è sicuramente tra i più esplorati dal cinema moderno e contemporaneo, spesso – abbandonato il punto di vista storico nazionale – seguendo le storie e l’esodo dei tanti abitanti dell’Africa costretti a scontrarsi con discriminazione e sfruttamento in cerca di una vita migliore. La scelta, quindi, segue la sensibilità e gli interessi di ciascuno, fermi restando dei ‘Bellissimi’ come il Fuocoammare di Gianfranco Rosi, Orso d’oro alla Berlinale, il Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismaki o il Quando sei nato non puoi più nasconderti di Marco Tullio Giordana, nel quale il tema del salvataggio viene rovesciato a favore del giovane figlio di un industriale bresciano.

 

RASSEGNA PANORAMICA
VOTO
io-capitano-la-recensione-del-viaggio-della-speranza-di-matteo-garroneItalia/Belgio, 2023, Regia Matteo Garrone, Interpreti Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodou Sagna, Khady Sy, Bamar Kane, Cheick Oumar Diaw, Durata 121'