Santiago Mitre, le emozioni di Argentina 1985 in vista dell’Oscar

Il film sorpresa dei Ciak d'Oro racconta una storia vera di democrazia e diritto

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“Un successo”, così Peter Lanzani – protagonista al fianco di Ricardo Darín – definisce il risultato ottenuto da Argentina, 1985 nei cinema del suo Paese, dove molti che non conoscevano la storia del processo al dittatore Jorge Rafael Videla e ai suoi più stretti collaboratori tornavano a casa chiedendo ai genitori di parlarne, a distanza di 40 anni dai drammatici eventi realmente accaduti. Qualcosa che potrebbe succedere anche in Italia, dove il film arriva in sala dal 23 settembre a poche settimane dalla serata di consegna dei Premi Oscar, dove quello del regista Santiago Mitre è tra i candidati a quello del Miglior Film Internazionale. Un traguardo per il diretto interessato, felice dell’attenzione e dei complimenti raccolti.

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E non solo per le lezioni che il primo film dedicato a quel fondamentale processo potrà insegnare al pubblico o per la reazione che sta suscitando in tutto il mondo, ma per aver potuto portare sullo schermo una storia alla quale pensava da anni.

“Ho iniziato a immaginare questo film molto tempo fa – ci racconta Santiago Mitre in persona, – ha a che fare con i temi con i quali mi interessa lavorare al cinema. Volevo fare un thriller processuale con una prospettiva storica, ma sono tutte cose che ho realizzato nel lungo processo che ha portato a questo film e che continuo a realizzare oggi, proprio presentando e accompagnando Argentina, 1985″.

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“Decidere di raccontare questa storia implicava una grande responsabilità, per quel che significava il processo, la dittatura e le tante persone coinvolte – continua il regista candidato agli Oscar. – Abbiamo lavorato per più di due anni con il co-sceneggiatore Mariano Llinás e un team di investigatori, leggendo documenti e incontrando membri della procura e giornalisti, testimoni e organizzazioni per i diritti umani, tra i primi a produrre le prove presentate. Una indagine enorme, importante, piena di dolore in certi momenti, ma anche una grande lezione. Stabilire un rapporto con molti di questi soggetti mi ha permesso poi di scrivere non solo del fatto storico, ma anche delle persone, comprenderne la prospettiva umana, tanto che con molti di loro abbiamo stabilito un rapporto se non di amicizia, di affetto”.

Una vicenda piena di dolore, ma anche di momenti di leggerezza, come ha scoperto lui stesso: “Dalle centinaia di ore di registrazioni, che abbiamo visto interrompendoci per la commozione, e dagli incontri con giudici e funzionari, vedevamo che spesso sorridevano, mi raccontavano degli scherzi che si facevano. E di Strassera, che per quanto musone aveva un suo senso dell’umorismo. Un tema del genere rischiava di essere troppo solenne, per cui abbiamo deciso di utilizzare questi elementi, come le relazioni familiari con i figli, o con i ragazzi del team“.

“Non so se oggi esista quella volontà di opporsi al potere – confessa, pensando a come si sia potuto raggiungere quel risultato. – E’ qualcosa che abbiamo perduto, definitivamente credo”. Anche se quell’esempio resta valido e insieme a una lezione importante porta con sé una piccola consolazione per quanti avevano sognato venisse fatta giustizia: “Non so se il caso specifico sia riuscito a curare le ferite, certo ha stabilito un paradigma per questo tipo di crimini. Una delle prime cose che ho dovuto fare con Mariano fu di rendermi conto quale fosse la memoria di quanto successo, soprattutto se i giovani ricordassero come fosse stato difficile conquistare la democrazia. Poco, direi. Per questo abbiamo lavorato proprio pensando a quella generazione. In molte zone del mondo vediamo i giovani abbracciare discorsi antidemocratici, e questo è triste.

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“Siamo contenti. Magari potessimo vincere! – dice il regista di Argentina, 1985 pensando poi alla possibilità di conquistare l’Oscar. – Ma anche se dovessimo perdere, saremo contenti lo stesso”. 

Santiago Mitre su Argentina, 1985 agli Oscar e il suo saluto ai lettori di Ciak

 

Peter Lanzani racconta Luis Moreno Ocampo e l’Argentina di oggi