Insidious – La porta rossa, la recensione della fine della saga horror

Tornano gli interpreti del primo capitolo del franchise di James Wan

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Insidious - La porta rossa

Come nella miglior tradizione delle saghe – soprattutto horror – per l’ultimo capitolo di un franchise come quello iniziato da James Wan nel 2010 non poteva che tornare tutto il cast del film originario (Rose Byrne e Lin Shaye comprese). In questo caso, richiamato dallo stesso Patrick Wilson, che in Insidious – La Porta Rossa fa il suo esordio alla regia, come vedremo al cinema a partire dal 5 luglio. In casi come questi, è sempre difficile credere che una saga del genere – più longeva che spesso terrificante – sia davvero in grado di scrivere la parola “fine” dopo ben cinque capitoli (tra prequel e sviluppi paralleli), ma la prova alla quale viene sottoposta la famiglia Lambert sembra davvero essere di quelle definitive, anche se…

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IL FATTO:

Nove anni dopo, sono papà Josh (Wilson) e lo scontroso primogenito Dalton (il Ty Simpkins di Insidious – L’ultima chiave, Avengers: Endgame e The Whale) a essere messi a dura prova.  E a dover sconfiggere i propri demoni, per sempre, affrontando il terribile “Altrove” e i terrori che sembrano decisi a riaffacciarsi per tormentarli di nuovo nonostante la decisione di far dimenticare a entrambi quanto accaduto in precedenza. Purtroppo, una volta al college, il giovane Lambert si scoprirà più legato a un oscuro passato che non ricorda, e non capisce, ma che istintivamente richiama disegnando una porta rossa dietro la quale lo aspetta un destino inevitabile.

Insidious - La porta rossa

L’OPINIONE:

Di certo, Patrick Wilson deve essere un amante dei Rolling Stones – e come dargli torto? – o avrebbe facilmente evitato un titolo del genere, fin troppo esplicito oltre che evocativo, eppure nonostante questo gli si riconosce facilmente la capacità di aver fatto propria l’anima della saga che lo ha sostenuto negli ultimi dieci anni e più (insieme ai vari Conjuring, Nun e compagnia terrificante) e che continua a rendere il suo legame professionale con James Wan il più fruttuoso della sua filmografia. Nonostante i recenti Midway e Moonfall con Roland Emmerich – e una carriera che spazia dai grandi autori ai Cinecomic al Fargo televisivo – il neo regista non ha avuto dubbi su cosa scegliere per il suo esordio dietro la macchina da presa. E ha fatto bene, considerato quanto il risultato rispecchi nel bene e nel male lo stile e le coordinate del franchise cui appartiene e nel quale si inserisce in maniera coerente sebbene senza troppa originalità. Un difetto, senza dubbio, controbilanciato però da uno sviluppo più ordinato di altre volte, soprattutto di quello di alcuni sequel (i capitoli 2 e 4, per esempio), fin troppo carichi di jumpscare e twist narrativi.
Gli appassionati della serie, più ancora che del genere in sé, apprezzeranno sicuramente un film che potrebbe fungere da chiusura della ideale trilogia lasciata in sospeso per dedicarsi alle ‘origini del Male’, anche se potrebbero restare spiazzati – anche perché ormai poco abituati – dalla prevalenza delle tematiche familiari e dei dialoghi tra i vari personaggi (ma non si possono far tornare dal passato Byrne e Shaye senza utilizzarle) sull’immancabile confronto con quanto si nasconde – e abbiamo già visto nel film del 2010 – dietro la Porta Rossa del titolo.
La moltiplicazione degli ambienti fisici data dalla porzione che si svolge nel college di Dalton e lo stress per la sua situazione complicata spiega – sulla carta – la richiesta di sospensione di incredulità necessaria ad accettare come premessa del film la stessa utilizzata (con i risultati che sappiamo) nel capostipite, ma nemmeno il conflitto generazionale giustifica il non sfruttamento dell’esperienza paterna nell’affrontare la crisi. Questi alcuni degli elementi di un buon horror, più che in “equilibrio tra luce e oscurità”, come si dice nel film, tra teen horror e serie-B, soprattutto per alcune scene poco coerenti, per scrittura dei dialoghi e dei personaggi. Che comunque non risaltano troppo, anche per l’attenzione prestata allo stravolgimento pianificato della linea temporale – momento interessante – e per il prevalere del piano reale cui accennavamo più su.
La conclusione, finalmente, ci lascia con un invito a rifuggire la rimozione psicoanalitica e con la speranza di aver chiuso un cerchio… anche se il finale lascia aperta la porta del dubbio. Un’altra porta da chiudere.

 

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inevitabile consigliare di recuperare l’inizio della saga e i suoi successivi sviluppi, sia per riconoscere i personaggi sia per avere chiare le dinamiche tra loro, soprattutto quelle che li hanno portati a questo punto. Anche se, più che il prequel del 2015 (l’Insidious 3 – L’inizio) e il successivo Insidious – L’ultima chiave del 2018, sarebbe da dare priorità ai primi due capitoli, l’Insidious del 2010 e il sequel del 2013, Oltre i confini del male – Insidious 2, diretto ancora da James Wan.

 

Insidious - La porta rossa

RASSEGNA PANORAMICA
VOTO
insidious-la-porta-rossa-la-recensione-della-fine-della-saga-horrorInsidious: The Red Door, Usa 2023. Regia: Patrick Wilson. Con: Patrick Wilson, Rose Byrne, Ty Simpkins, Andrew Astor, Lin Shaye. Durata: 1h 47’. Distribuzione: Eagle Pictures