La regina degli scacchi sotto accusa, prosegue la causa contro Netflix

Da un maestro della Georgia arriva una grana per lo streamer

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La causa risale allo scorso settembre, quando Nona Gaprindashvili ha citato in giudizio Netflix per una affermazione contenuta in una scena della seguitissima serie La regina degli scacchi. Ma la campionessa georgiana ha appena ottenuto un piccolo grande risultato: quello di non vedere la sua istanza archiviata, come avrebbe voluto la divisione legale della piattaforma di streaming.

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La linea di difesa – secondo la quale la serie sarebbe un’opera di finzione e il Primo Emendamento offrirebbe ai suoi creatori ampia licenza artistica – non è stata ritenuta sufficiente dalla giudice distrettuale degli Stati Uniti Virginia A. Phillips, che ha ritenuto “plausibile” l’argomento sostenuto dalla giocatrice della Georgia.

La Gaprindashvili sostiene infatti di esser stata diffamata per la battuta “grossolanamente sessista e sminuente” – oltre che “manifestamente falsa” – pronunciata dal commentatore del torneo di Mosca al quale partecipa la Beth Harmon interpretata da Anya Taylor-Joy (presto sul set di Furiosa) come unica concorrente donna… Questa:

“Per quanto ne sanno loro, la Harmon non è alla loro altezza. Laev non avrà investito molto tempo a prepararsi a questa partita. Helizabeth Harmon non è una giocatrice importante secondo i loro standard, la sua unica specialità è quella di essere una donna. Cosa per altro non strana in Russia, dove c’è Nona Gaprindašvili, ma lei era campionessa femminile, non ha mai giocato con gli uomini”.

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Secondo la stessa campionessa, infatti, nel 1968 – anno in cui è ambientata la scena dell’episodio finale – avrebbe affrontato almeno 59 concorrenti maschi. Fatto non considerato dai due esperti di scacchi interpellati da Netflix, che ha continuato a sottolineare come l’intenzione fosse quella di “riconoscere” e non denigrare la scacchista sovietica.

Inutile. La Phillips ha opposto che le opere di narrativa non sono immuni da cause per diffamazione se denigrano le persone reali e che il desiderio di abbattere le barriere di genere sostenuto da Netflix – che non ha commentato la sentenza – avrebbe potuto essere interpretato come rafforzamento del successo della Harmon, ma a discapito di quello reale della Gaprindashvili.

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“Uno spettatore medio potrebbe facilmente interpretare la battuta, come sostiene la querelante, come un ‘denigrare i risultati della querelante’ e avvalorare il concetto secondo cui le donne portano un marchio di inferiorità’ che la donna americana immaginaria Harmon, ma non la querelante, potrebbe superare, – si legge nella dichiarazione della giudice. – Nel contesto, quindi, Netflix ‘avrebbe creato l’impressione di affermare fatti oggettivi'”.