L’estate di Cléo, Marie Amachoukeli racconta il suo debutto

Al cinema l'esordio alla regia della francese, ispirato alla sua stessa esperienza

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L'estate di Cléo

Ha scelto di raccontare una storia molto intima Marie Amachoukeli per il suo debutto da solista alla regia, un film intenso che ha al centro il mondo dell’infanzia e del dolore: è L’estate di Cléo, nelle sale dal 21 marzo, che affonda l’occhio della sua camera nel legame intimo e profondo tra una bambina, orfana di madre, e la tata che ne prende il posto. Non un legame di sangue, eppure molto più viscerale.

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Ad appena sei anni Cléo (Louise Mauroy-Panzani), cresciuta con l’amore e l’affetto di Gloria (Ilça Moreno Zego), la tata che, appena nata, l’ha accudita come fosse una figlia, per via della prematura scomparsa della mamma, riceve una notizia che la sconvolge: la famiglia di Gloria, originaria di Capo Verde, ha bisogno di lei, sua figlia più grande è in procinto di avere un bambino, mentre quello più piccolo l’ha vista pochissime volte e fatica a riconoscerla come genitore. La donna deve tornare a casa e la bambina è costretta per la prima volta nella sua vita a fare i conti con la verità: il vero significato del sentirsi orfani. Addolorato per la disperazione della figlia, il padre chiede a Gloria di ospitare la piccola per l’estate nel suo villaggio nell’arcipelago di Capo Verde. Sarà lì che la bimba imparerà a vivere con la semplicità di chi abita quei luoghi, oltre a condividere l’affetto di Gloria con i suoi stessi parenti e a comprendere che il distacco e il dolore sono due elementi imprescindibili della vita vera.

Ad ispirare la regista francese in questo film, presentato in apertura della 62a Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2023, è stata la sua stessa esperienza: “Sono stata cresciuta – ha affermato Marie Amachoukeli – da una persona che si è occupata di me. Non una vera e propria tata, ma la custode dell’edificio in cui vivevo, ero sempre nel suo stanzino, con i suoi figli. Lei un giorno è tornata a vivere in Portogallo e quello è stato il più grande shock della mia vita di bambina, al punto che mi rifiutai di dirle addio. C’era qualcosa dietro l’amore assolutamente folle che provavo per lei che volevo capire, volevo esplorare il rapporto tra una bambina e qualcuno che, dietro compenso, si prende cura di lei. È una questione di soldi? È amore? È entrambe le cose? E come si intrecciano le due cose?“.

L'estate di Cléo

Alle immagini del film, la regista ha voluto alternare dei momenti di animazione, anche questa una scelta dettata dai ricordi da bambina. “Il primo film che ho visto, Mary Poppins, mi ha colpito molto, con il salto dal mondo reale al mondo di Mary Poppins, che è un mondo animato. Ho voluto riprodurre in qualche modo questo principio, con questo passaggio alla pittura animata, al disegno e all’immaginazione. Ho pensato che fosse molto in linea con l’infanzia e anche con il modo in cui si esprime l’inconscio della bambina, attraverso momenti di colore vivido piuttosto che con le parole“. Focalizzata sul punto di vista della piccola Cléo, la camera si muove quasi alla sua altezza, per dare allo spettatore l’esatto punto di vista da cui la storia vuol esser raccontata.

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Tutto ruota intorno al modo in cui guardiamo le coseha concluso la regista. – Come la bambina cambia la sua percezione delle relazioni, del mondo e della sua vita, grazie a questo evento, al fatto che questa donna torna nel suo Paese. Per portare questa logica alla sua conclusione, il personaggio di Cléo ha dovuto compiere uno spostamento fisico e vedere la vita di Gloria, da dove viene e dove si sarebbe stabilita in futuro, significava che Cléo doveva aprirsi a sé stessa. Così entra nell’età della ragione, cambiando il suo punto di vista e la sua visione di ciò che le sembrava così familiare, e che alla fine non lo era“.