Under sandet Danimarca/Germania, 2015 Regia Martin Zandvliet Interpreti Roland Møller, Mikkel Boe Følsgaard, Louis Hofmann, Joel Basman Distribuzione Notorious Durata 1h e 40′
In sala dalÂ
24 marzo
Coste danesi, maggio 1945. Alla conclusione del conflitto oltre duemila prigionieri tedeschi, in spregio alla Convenzione di Ginevra, furono costretti a bonificare le coste dalle mine che il loro stesso esercito aveva posato in previsione dello sbarco alleato, che poi avvenne invece sulle coste normanne. Più della metà di loro morì o rimase mutilata: una storia dolorosa e poco conosciuta che il regista Martin Zandvliet riporta alla luce, attraverso la vicenda di un rude sergente danese e del gruppo di giovani prigionieri che deve sorvegliare.
Cosa succede quando la Storia ribalta i ruoli e i âbuoniâ si ritrovano a fare i âcattiviâ e viceversa? Succede che improvvisamente ci si rende conto che il confine è molto labile, che basta poco per tirare fuori da quelli che fino a poco tempo prima erano le vittime gli stessi istinti belluini e animaleschi che sembravano essere appannaggio dei tedeschi invasori. Vero, ma è così semplice e scontato? I motivi della crudeltà sono gli stessi per tutti? Martin Zandvliet costruisce un film potente, emozionante, che in alcuni momenti prende allo stomaco (e non solo per le devastanti conseguenze delle esplosioni delle mine sui corpi dei giovani soldati tedeschi), con scenari abbacinanti ed interpreti bravissimi, primo fra tutti il sergente Carl Rasmussen (Roland Moller). Ma moralmente ambiguo: è vero, i danesi si comportano da aguzzini, pisciano in testa ai prigionieri, si comportano da kapò. La mamma che ospita il sergente, così premurosa con la sua bambina, si vanta di averne eliminati due: ma cosa avevano subito da quegli stessi tedeschi per cinque anni? Il loro abbrutimento non è forse conseguenza di quello? E non è facile, e un po’ furbetto, scegliere di raccontare la vicenda prendendo come protagonisti ragazzini di 16 o 17 anni, che per il loro solo sguardo suscitano compassione? È vero, il dolore è uguale per tutti, la condizione di prigioniero è la più umiliante per un uomo, tanto più per un ragazzino che un dittatore demente ha mandato a combattere. Ma le colpe non si possono dimenticare e non si può mettere tutto sullo stesso piano. Anche, e soprattutto, quando a diventare vittima è il carnefice.