Giuseppe Tornatore: «Al Red Sea Film Festival ho sentito il cambiamento»

Il nostro regista parla di responsabilità, censura, futuro e Oscar

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Giuseppe Tornatore - The Red Sea Film Festival

L’annuncio dello scorso novembre era stato quasi una sorpresa, come anche per Giuseppe Tornatore, che non si aspettava certo la proposta di partecipare alla prima edizione del Red Sea International Film Festival di Gedda come Presidente della Giuria. Una “responsabilità” della quale il regista italiano si è fatto volentieri carico, venendone ampiamente ripagato, visto il clima trovato e la grande passione per il cinema di una nazione che sembra andare verso una sempre maggior apertura, oltre che avviarsi a diventare una interessante realtà produttiva.

Alla fine del suo impegno, facciamo un bilancio dell’esperienza vissuta con lui. Prima che passi a dedicarsi totalmente al suo prossimo film – che ha finito di scrivere – e di fare il tifo per la nomination all’Oscar, per quanto complicata.

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Una edizione storica di un Festival inedito, quanto è stato importante il suo ruolo in un momento in cui tutti guardano ai cambiamenti che promette l’Arabia Saudita?
E’ una responsabilità che ho sentito. Dall’inizio. Quando ho accettato di presiedere la giuria del festival di un Paese dove per 35 anni non ci sono stati cinema, ho immediatamente detto sì. Volevo essere in un posto dove il cinema stava per essere come reinventato da zero. Una responsabilità altissima, come il livello dei film in competizione. Ma qui ho capito che non era importante vincere, ma esserci. Solo per il fatto di esser stati selezionati, è come se i film avessero vinto tutti. E’ stato importante, e incoraggiante, vedere donne da sole, o in gruppo, tanta gente fare la fila per andare a vedere i film, quando nel nostro paese abbiamo spesso il problema opposto.

Eppure qui si parla ancora di censura, come abbiamo visto per il caso di West Side Story. Si può essere ottimisti per le aperture che si intuiscono?
La censura ce l’avevamo anche noi, ce l’abbiamo avuta per tanto tempo e molti registi e autori l’hanno anche sofferta. Poi, piano piano il cinema è stato più forte della censura, ha educato la collettività, il modo di pensare, e oggi possiamo dire che da noi non ci sia più, anche se non è proprio così. Io immagino che questo processo di apertura che si è avviato con grande forza in queso Paese possa portare anche a una maggiore elasticità. Gli stessi film che ho visto mi sono sembrati tutti film molto coraggiosi, capaci di affrontano tematiche molto importanti, talvolta anche con prospettive che non ti aspettavi di trovare nella prima edizione di questo festival. Mi è sembrato un messaggio di grande speranza. Gli slogan che si leggono sui muri di Gedda – “L’onda del cambiamento”, “i film ti cambiano” – mi sono sembrati davvero corrispondenti al clima che ho vissuto intorno a me in queste giornate.

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Una apertura anche produttiva, visti gli investimenti sempre maggiori nel cinema. Con la quale ha avuto occasione di prendere contatti, magari di lavorare a nuove idee?
Non ci avevo mai pensato. Nemmeno da un punto di vista turistico, anche perché non sono mai stato bravo come turista, non faccio mai vacanze e non ho la mentalità turistica. Ma quando sono andato in giro per la Gedda antica, mi son detto che se avessi avuto una storia giusta da ambientare qui, l’avrei girata subito. Mi ha molto attratto l’idea di approfondire la storia della comunità italiana in questo Paese. Chissà in queste pieghe che storie si potrebbero trovare. Sarà perché sono siciliano, ma ho trovato anche dei sotterranei legami, come quando sono entrato in un negozio di spezie, dove ho trovato profumi di quando ero bambino, gli stessi di certi negozi del mio paese. Mi sono riconosciuto in diverse cose. Mi hanno anche invitato ad andare al Nord, ad Alula. Adesso non posso, ma tornerò a gennaio solo per andare a vedere quel posto, ho visto delle immagini che mi hanno veramente scosso. E quindi sì, non ci ho pensato né me l’hanno chiesto, ma se ci fosse qualcosa da mettere in piedi sarei contento.

Giuseppe Tornatore - The Red Sea Film Festival (Photo by Tim P. Whitby/Getty Images)
Giuseppe Tornatore – The Red Sea Film Festival (Photo by Tim P. Whitby/Getty Images)

A Gedda è venuto accompagnato e per accompagnare Ennio, che continua il suo tour intorno al mondo…
L’idea di mostrare il film è stata loro, ché io non mi sarei permesso e non è nel mio stile, ma mi ha fatto piacere. Sapevo che le sue musiche fossero conosciute dappertutto, ma magari il pubblico qui non conosceva la sua storia. Con questo documentario hanno avuto l’opportunità di scoprirla, e sono rimasto colpito di come molti spettatori siano stati attratti più dalla sua storia personale, più che dagli Oscar o certi film. E’ stata l’ennesima conferma che è sempre giusto andare in giro. Hai sempre delle grandi sorprese quando vai in un altro paese, presso un’altra cultura, dove c’è un’altra lingua, e vedi quali sono le cose che arrivano di quel che hai fatto.

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Parlando di Oscar, è lecito sognare? Non ci pensa per nulla?
Sinceramente no. Il film è tecnicamente eleggibile nella categoria dei documentari, come tutti i documentari che sono usciti quest’anno negli States, ma a parte questo non c’è nient’altro. Non ci penso proprio e non sto facendo niente perché accada. Quando faccio un film, poi lo lascio alla sua vita. Se ha una vita di successo sono felicissimo, ma anche se non ce l’ha, sono contento di averlo potuto fare. Come nel caso di Ennio. Riuscire a finirlo, dopo una lavorazione particolarmente tormentata, dalla pandemia, dal lockdown, e momenti in cui pensavo che non sarei mai riuscito a farcela, è stato il premio migliore. Un successo difficilmente quantificabile. Quanto all’Oscar, non so se si farà a tempo perché i votanti riescano a vederlo e votarlo, il film è uscito da poco, e in genere i film hanno bisogno di tempo perché facciano effetto le campagne di promozione. E da questo punto di vista non sarà molto aiutato.

Meglio pensare al prossimo progetto, insomma. Quale?
Ho iniziato la fase di pre, pre, pre-produzione del prossimo film, che è già scritto. Ma non posso dire altro…