Se dopo una edizione nella quale Everything Everywhere All at Once ha fatto piazza pulita dei premi principali quel di cui si discute di più è la svogliata intervista rilasciata da Hugh Grant, forse non ricorderemo questi Oscar 2023 come i più emozionanti di sempre. Almeno in Occidente. Tutt’altra storia per quel che riguarda i tanti candidati di origini cinesi – o di Hong Kong e Taiwan – che han voluto ricordare il loro passato familiare da immigrati, e per i due vincitori della Miglior canzone originale e del Miglior corto documentario che hanno scatenato l’entusiasmo in India, anche se con la festa sono spuntate sia le polemiche verso la superficialità di Jimmy Kimmel, sia la curiosità del collegamento tra RRR e l’Ucraina.
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Accusato di aver erroneamente fatto riferimento a RRR come “Bollywood Movie”, al presentatore è stato fatto notare che – a differenza dei film prodotti nella regione Hindi di Mumbai (già Bombay) – in questo caso si tratta di una produzione in linguaggio Telugu, della regione meridionale dell’India nota come Tollywood. Come specificato anche dalla presentatrice di turno, la splendida attrice indiana Deepika Padukone:
అల్లూరి సీతారామరాజు & కొమరం భీమ్ 🔥🔥
Deepika Padukone announces ‘Naatu Naatu’ live performance at the Oscars#NatuNatu #Telugu #RRRMovie pic.twitter.com/mBYcgxdqpA
— Manasa.B (@Siri4BRS) March 13, 2023
“Mi sento molto fortunato a ricevere questo grande riconoscimento per il mio paese, per la mia cultura, la mia patria, l’industria cinematografica cui appartengo – ha detto M.M. Keeravaani, il compositore della prima canzone indiana a conquistare un Oscar, Naatu Naatu. – Sento che questo è solo l’inizio, perché il resto del mondo presti più attenzione alla musica indiana”. Al ché il paroliere Chandrabose ha semplicemente aggiunto: “L’unica cosa che mi viene in mente al momento è che devo andare in India a mostrarlo a mia moglie e ai miei figli”.
Tra i momenti più iconici del film Netflix RRR – Rise, Roar, Revolt, la coreografia della canzone Naatu Naatu ha richiesto due settimane di lavoro a 150 ballerini e un’equipe di 200 persone in tutto, impiegate per 12 ore al giorno. E una location che non tutti avranno riconosciuto, ma è quella ucraina del Palazzo Mariinskij di Kiev, residenza ufficiale del presidente Volodymyr Zelensky, sfruttata come scenografia naturale per le riprese tenutesi poche settimane prima dello scoppio della guerra tra Ucraina e Russia.
Ma con il lungometraggio entrato nella storia, sarebbe ingiusto non citare l’altrettanto importante vittoria del cortometraggio documentario The Elephant Whisperers di Kartiki Gonsalves, che – insieme alla produttrice Guneet Monga (in passato già executive producer del vincitore del 2020, Period. End of Sentence) – è diventata la prima vincitrice indiana dell’Oscar di categoria, e una degli otto premiati dall’Academy nel cosiddetto Subcontinente.
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My heart is full of love and excitement, most of it imbibed from everyone in India cheering for our win.
So grateful to the visionary filmmaker @EarthSpectrum and to @netflix who gave us the biggest stage in the world. This is for my beautiful, diverse country, India. #Oscar pic.twitter.com/yq6bur69LH
— Guneet Monga (@guneetm) March 13, 2023