Oggi Liliana Cavani riceve il Leone d’oro alla carriera della Mostra del Cinema di Venezia, dove presenta fuori concorso L’ordine del tempo, ispirato al libro del fisico Carlo Rovelli. Artista anticonformista, libera da preconcetti ideologici, perennemente moderna, mossa dall’urgenza di una continua ricerca della verità e da uno sguardo politico, anti-dogmatico, coraggioso nell’affrontare anche i tabù più impegnativi. Sono alcune delle ragioni per cui Venezia 80 ha assegnato a Liliana Cavani uno dei due Leoni d’oro alla carriera di quest’anno (l’altro va all’attore di Hong Kong Tony Leung). La regista, 90 anni lo scorso 12 gennaio, presenta inoltre fuori concorso al Lido il suo ultimo film, L’ordine del tempo, ispirato all’omonimo libro del fisico Carlo Rovelli, scritto con Paolo Costella, interpretato da Alessandro Gassmann, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Ksenia Rappoport, Valentina Cervi, Francesco Rongione, Francesca Inaudi, Angela Molina e prodotto da Indiana, Vision, che lo distribuisce nelle sale il 31 agosto, e Gapbusters con Rai Cinema. E’ la storia di un gruppo di amici che in una villa sul mare fa i conti con una imminente fine del mondo.
Com’è nata la passione per il libro di Rovelli?
L’ordine del tempo mi ha stimolato un pensiero e non è l’unico libro di Carlo a piacermi. Sono laureata in lettere antiche, ma ho una certa malinconia per le materie scientifiche, delle curiosità, un interesse. Per questo nel 1968 ho realizzato Galileo e nel 2008 Einstein, miniserie tv più premiata a Londra che in Italia.
Il tempo ci ossessiona.
Ce lo abbiamo addosso, fa parte della nostra vita, ma per fortuna abbiamo un equilibrio che ci permette di giostrare abbastanza sulla questione.
Che rapporto ha con il tempo?
A dire la verità non ci penso molto, lo faccio solo se mi viene la malinconia di una persona perduta. Ci si accorge del tempo quando si tocca quasi con mano una realtà che si modifica, e la realtà si modifica in continuazione, per questo il tempo è degno di una riflessione.
Si diverte ancora sul set?
Moltissimo. Se poi ho dei bravi attori ancora di più. E nel film ho avuto attori bravissimi, molto partecipi, giusti, credibili. Perché il cinema, più che il teatro, vive di questa credibilità. Mi sono trovata molto bene, la produzione mi ha concesso gli interpreti che volevo, che avevo visto e apprezzato al cinema.
Come si arriva dal libro di Rovelli a un film narrativo?
Con il cinema si possono raccontare tante cose. Le immagini hanno una grande forza, non a caso le lettere sono nate quasi come fattura di un oggetto reale. Il lavoro di sceneggiatura è stato molto piacevole: si riflette, si discute con una libertà immersa di possibilità e poi si arriva a una sintesi.
Lei come reagirebbe alla notizia di una possibile, imminente fine del mondo?
Ho immaginato tante cose, ognuno avrebbe una reazione diversa. Ci si mette faccia a faccia con la vita, mentre normalmente seguiamo una routine quotidiana e non ci fermiamo a riflettere sulla nostra esistenza. Ma è una corsa contro il tempo e sappiamo benissimo che a vincere è sempre lui.
La storia del tempo è interessante, ce ne è voluto tanto per arrivare a un tempo comune, globale, a stabilire epoche e avere orologi da polso. Il tempo fa ormai parte del linguaggio comune, ma il tempo della nostra vita richiede una maggiore riflessione.
Oggi il tempo sembra andare sempre più veloce anche a causa del nostro stile di vita.
Ma è un’impressione. Le nostre paure modificano la percezione della realtà, l’attesa di essere ricevuti rende il tempo lunghissimo, altre volte il tempo vola. È come essere su un treno e il tempo è il nostro compagno di viaggio.
Ha definito la vita un viaggio inquietante.
Inquietante per tutti, nel senso che non dà quiete. Non ho mai incontrato una persona che non abbia un qualche conto da regolare con il tempo. Quello con il tempo è un dialogo di pensiero, quasi senza parole, per fortuna la vita ci costringe a fare tante cose. Non è così per tutti: per i bambini il tempo non esiste e per le Clarisse, sulle quali avevo realizzato un documentario nel 2012, il tempo è allegramente compagno di una vita scandita da appuntamenti fissi.
Che rapporto ha avuto negli anni con la Mostra di Venezia?
Nel 1965 ho vinto il Leone d’oro per il documentario Philippe Pètain. Processo a Vichy, realizzato per la Rai. Raccontavo un fatto molto importante per i francesi, ma avevo pochissimo materiale. Non mi aspettavo il premio, tanto che sono andata in vacanza lontano da Venezia e solo dopo ho ritirato il Leone. Sono stata al Lido anche nel 1993 con Dove siete? Io sono qui, premiato con la Coppa Volpi ad Anna Bonaiuto. Un film quasi perduto purtroppo, ma che ho amato moltissimo.