Tutto il fascino, tutto il talento, tutte le capacità tecniche per poter interpretare ogni tipo di personaggio. Italiano e non. Presente alla Mostra con due titoli in gara, Comandante e Adagio Pierfrancesco Favino lancia il sasso nella laguna e scatena una polemica destinata a protrarsi nel tempo, ben oltre i confini della rassegna. La questione riguarda la scelta di tanti autori americani, tra gli ultimi in ordine di tempo, Michael Mann, in gara con Ferrari, e Ridley Scott con House of Gucci, di affidare a divi d’oltreoceano il compito di interpretare ruoli di figure della storia d’Italia. Caso vuole che, nei due film citati, la scelta sia caduta sullo stesso nome, quello del serafico e prestante Adam Driver al quale, da almeno 48 ore, le orecchie staranno fischiando forsennatamente, visto che Favino se l’è presa proprio con lui. A nome dei suoi colleghi è partito in quarta con una filippica contro la scarsa valorizzazione delle nostre star, colpa, a suo dire, di produttori e autori, ma anche degli stessi attori che non farebbero sentire abbastanza la loro voce, reclamando parti che spetterebbero loro per diritto di nazionalità.
Apriti cielo. Ormai al Lido non si parla d’altro. Eppure, a esaminare bene la questione, senza farsi prendere da improvvisa enfasi patriottica, Favino ha, da una parte, ragione e, dall’altra, torto. E’ vero che le figure italiane nei film USA finiscono spesso per acquistare colori da macchietta, è vero che i nostri nomi celebri potrebbero recitare più spesso in produzione straniere e che bisogna organizzarsi perché questo accada. Il punto, però, è anche un altro. Gli autori dovrebbero essere liberi di scegliere, per le loro storie, le facce e i corpi che sembrano loro più appropriati, l’idea che debbano rispondere tassativamente a criteri di nazionalità è improponibile. Non è affatto detto che, per rappresentare un mafioso, sia necessario un attore nato in Italia, magari in Sicilia. Basta un solo titolo, “Il Padrino”, ed ecco che la protesta si sgonfia. L’elenco degli esempi sarebbe lunghissimo, pieno di Oscar e di interpretazioni cruciali. Allora, forse, meglio riflettere su un altro aspetto. Che riguarda la lingua, intesa proprio come idioma. Quanti sono gli attori italiani in grado di recitare perfettamente in lingua inglese? E quanto conta il luogo di nascita se poi, al cinema, vedremo Adam Driver perfettamente doppiato in italiano nel ruolo del “Drake”? La patria va difesa, certo, ma, per fortuna, nel cinema, confini e passaporti contano poco. Vincono sempre altre cose, suggestione, bravura, glamour, inventiva. Quella polvere di stelle che non ha né marchi né bandiere.