«L’idea del libro di Shutter Island mi è venuta in una notte, in sogno, aspettavo notizie su mia madre che era stata ricoverata in ospedale, mi sono addormentato sulla sedia verso le 2 del mattino e alle 4 mi sono svegliato con l’intera storia in testa, che ho scritto di getto in due pagine fitte. Era il primo libro di cui conoscevo già il finale, e mi fu subito chiaro di dover stenderlo in fretta, prima che l’idea sfumasse. L’ho scritto in soli 4 mesi», ha confessato Dennis Lehane durante la masterclass della Festa del Cinema.
«C’è un episodio che mi è successo che mi ha ispirato Shutter Island – ha continuato – prima di tutto, quando ero un bambino, mio zio, che aveva uno strano senso dell’umorismo, come il resto della mia famiglia, divertente, ma black. Un inverno particolarmente freddo, portò me e mio fratello in quest’isola vicino casa nostra, a cui si accedeva da un piccolo ponte, su cui c’era un istituto penitenziario abbandonato. Lì ci raccontò questa storia agghiacciante: che qualche volta i fantasmi dei detenuti rimasti intrappolati nel penitenziario cacciavano i visitatori, che poi scomparivano nel nulla. Mio fratello ed io, di 9 e 11 anni, rimanemmo sconvolti, mentre nostro zio rideva divertito. Questa storia mi è rimasta impressa nella mente e me la sono portata dietro fino alla mia vita da adulto».
Lo scrittore portato sul grande schermo da Clint Eastwood (Mystic river), Martin Scorsese (Shutter island), e Ben Affleck (Gone, baby, gone e Live by night) si è raccontato al pubblico dell’Auditorium Parco della Musica, ripercorrendo la sua carriera tra letteratura e cinema, fino alla sua scelta di passare alla regia con la miniserie Black bird.
«Quello che voglio non è insegnare ai miei lettori e spettatori che è importante mangiare le verdure o dare loro dei compiti a casa da svolgere, voglio intrattenerli, ma se facendolo riesco anche a farli riflettere simultaneamente è perfetto – ha concluso il maestro di thriller – e negli ultimi 25 anni ho sempre scritto romanzi. Questo è il primo anno, che non ho una nuova storia da raccontare. E sapete cosa? Mi sta piacendo la mia nuova condizione di showrunner, la trovo meno faticosa rispetto alla mia carriera da romanziere. Per un’artista non c’è niente di più stancante mentalmente che scrivere un romanzo, adesso mi godo un po’ di riposo nel mondo della serialità televisiva, che mi permette di essere anche più presente con mia moglie ed i miei figli».