Sono passati più di vent’anni dalla comparsa del libro “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi (pubblicato per la prima volta nel 2003 e in Italia nel 2004 da Adelphi) ma oggi, mentre il suo adattamento cinematografico sta per approdare nelle sale (dal 21 novembre per Minerva Pictures, dopo l’anteprima in concorso alla Festa del Cinema di Roma), le questioni che solleva e che ne hanno fatto un bestseller internazionale restano attualissime.
Perché si parla del diritto all’autodeterminazione femminile, ma anche di cultura e censura, nell’Iran degli ayatollah. Dove, nel 2022, lo slogan “Donna, Vita, Libertà” delle attiviste curde e del confederalismo democratico di Abdullah Öchalan veniva ripreso dalle proteste nella Repubblica islamica seguite alla morte della ventiduenne Mahsa Amini, arrestata dalla polizia per non aver indossato correttamente il velo.
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Proprio quello di coprirsi pubblicamente con l’hijab è uno degli obblighi imposti alle donne come Azar Nafisi dopo la Rivoluzione iraniana del 1979. Le pressioni del regime teocratico, che non gradisce i contenuti del suo corso di letteratura angloamericana all’università, la portano a lasciare l’insegnamento. Ma lei non rinuncia a divulgare un patrimonio letterario inviso al potere, e organizza nella sua abitazione un seminario semiclandestino frequentato da sette studentesse.
Leggero Lolita a Teheran
È da questa esperienza che nasce Leggere Lolita a Teheran, le cui parti sono contrassegnate dai nomi di altrettanti autori “scandalosi” come quel Vladimir Nabokov il cui più celebre romanzo, “Lolita”, ispirerà, tra gli altri, Stanley Kubrick per il lungometraggio del 1962. Le protagoniste della storia narrata da Nafisi (che nel 1997 si è trasferita negli USA, di cui è cittadina dal 2008) rivelano a loro volta diversi aspetti della condizione (e oppressione) femminile nel sistema iraniano. E ora ispirano i personaggi della trasposizione filmica, che è stata girata in Italia e vede interprete principale l’attrice e cantautrice Golshifteh Farahani.
Il regista Eran Riklis
Dietro la macchina da presa troviamo invece l’israeliano Eran Riklis: “Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi, con la sua rappresentazione delle relazioni umane e delle questioni politiche e globali, mi ha colpito profondamente. Ero assolutamente consapevole della complessità di raccontare una storia così intima di donne in Iran, eppure sapevo che si trattava di una sfida meravigliosa ed emozionante“, ha detto il regista, anche produttore con Marica Stocchi, Gianluca Curti, Moshe Edery, Santo Versace e Michael Sharfshtein (una produzione Minerva Pictures e Rosamont con Rai Cinema, in coproduzione con United King FIlms, Topia Communication Productions e Eran Riklis Production).
L’apporto israeliano al film ha già fatto discutere, in un momento storico che vede il governo di Benjamin Netanyahu estendere anche all’Iran l’offensiva militare già responsabile, tra Gaza, Cisgiordania e Libano, di oltre 40 mila morti (in gran parte donne e bambini) e più di un milione di profughi, senza contare i feriti e le persone ridotte alla fame. C’è da dire, in ogni caso, che con le sue opere Eran Riklis ha più volte denunciato le prevaricazioni ai danni dei popoli sottoposti all’occupazione di Israele, come ne Il giardino di limoni (2008), che raccontava la lotta di una donna palestinese cisgiordana per difendere il proprio limoneto.
La stessa Azar Nafisi approva la scelta del cineasta: “Ha una visione e un pensiero progressista, partecipa alle proteste nel suo Paese“, ha dichiarato la scrittrice a settembre presenziando a Pordenonelegge, “Ammiro la sua sensibilità umana e artistica, mi sento in buone mani“. E chissà che, con la sua uscita, Leggere Lolita a Teheran non porti anche maggiore attenzione sull’incredibile vicenda di Maysoon Majidi, l’attivista femminista curdo iraniana fuggita dalla teocrazia nel 2019, ma, mentre scriviamo queste righe, ancora incarcerata in Italia con l’accusa di essere una scafista.