La mostra delle distopie

Se non ci occupiamo dell’intelligenza artificiale, l’intelligenza artificiale si occuperà di noi. Anzi, se ne sta già occupando: lo sa fin troppo bene l’80ma Mostra del Cinema di Venezia, che prima di iniziare ha dovuto misurarsi con le conseguenze dello sciopero di sceneggiatori e attori hollywoodiani, dove tra i grandi temi c’è proprio un uso delle nuove, discusse tecnologie capace di penalizzare fortemente i lavoratori dello spettacolo. L’assenza dal red carpet dei divi in protesta ci rimanda dunque a un presente e a un futuro al bivio tra progresso e distopia. E con differenti generi di apocalissi si misurano, non a caso, vari titoli della Mostra: dalla fine del mondo come pretesto per una riflessione sull’ordine del nostro tempo (nel film della novantenne Leonessa d’oro Liliana Cavani) alla guerra tra vittime della catastrofe ambientale ed energetica di Nina dei Lupi di Antonio Pisu (visto alle Giornate degli Autori), fino alla Roma noir di Stefano Sollima in Adagio, non più tanto Città Eterna fra uno Stato agonizzante, i continui blackout e il collasso eco-climatico che, dopo il Tevere essiccato di Paolo Virzì in Siccità (l’anno scorso sempre a Venezia), adesso si respira (letteralmente) nell’aria soffocante e nei perenni incendi sullo sfondo. Ma a rappresentare più emblematicamente le inquietudini su ciò che verrà (e un po’ è) sono proprio le intelligenze artificiali: diversi in questi giorni al Lido gli incontri nei quali il mondo del cinema si è confrontato su rischi e opportunità del loro impiego nel settore, e di riflesso in tutta la nostra vita. Mentre il film passato in concorso La bête di Bertrand Bonello prefigura un 2044 dove le I.A. sono adoperate per anestetizzare le nostre emozioni più profonde, considerate ormai fastidiosi ostacoli alla nostra efficienza sul posto di lavoro. Difetti di programmazione del nostro DNA da cui “purificarsi”, in un mercato e in una società sempre meno a misura d’uomo. Forse, allora, anziché preoccuparci troppo delle macchine che diventano sempre più simili a noi, dovremmo stare attenti a non diventare noi sempre più simili a macchine. Incapaci di empatizzare con i nostri vicini, di arrabbiarci per le ingiustizie che ci circondano e, soprattutto, di avvertire un po’ di sana paura per un domani da scongiurare. E meno male che a volte i film ci ricordano quanto sia importante essere ancora in grado di provare tutto questo.

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